Morti invisibili alle frontiere. Le procedure di identificazione nel Maghreb

di Valentina D’Amico

Da troppi anni le frontiere europee sono luoghi di sparizioni e morti invisibili, a causa delle politiche di chiusura dei governi e dell’assenza di vie di immigrazione legali e sicure. 

Al Sabir, Festival diffuso delle culture mediterranee se ne è parlato oggi in una tavola rotonda con i rappresentanti di diverse associazioni: Elena Bizzi di Euromed Rights; José Pablo Baraybar dell’Icrc – comitato internazionale della croce rossa; Omar Maji Associazione marocchina per i diritti umani; Allaa Talbi del Forum tunisino per i diritti economico-sociali; T. B. Associazione libica; Kouceila Zergouine, avvocato algerino; Filippo Furri, consulente per i diritti umani. 

“Dal 2015, con l’acuirsi della crisi umanitarie e dopo aver visto i primi corpi sulle coste tunisine abbiamo iniziato a fare pressione perché si costruiscano database delle persone scomparse” afferma Alaa Talbi direttore del Ftdes, forum tunisino dei diritti sociali ed economici. “La sepoltura dei corpi restava affidata ai volontari”, le autorità locali semplicemente non se ne occupavano. “Senza precise direttive o autorizzazioni non era possibile garantire la dignità dei migranti, con i cadaveri caricati in massa sui camion senza alcun rispetto della dignità della persona” racconta Talbi. “Una crisi che ha raggiunto l’apice nel 2017 quando decine e decine di corpi sono stati portati nel sud della Tunisia e seppelliti in fosse comuni. Di fronte a questa situazione abbiamo cercato un confronto con il governo tunisino, con tutti i ministeri competenti, quello alla salute, agli affari interni, ai servizi sociali”. Le associazioni tunisine per i diritti umani hanno chiesto sforzi concreti per predisporre meccanismi chiari e legali per l’identificazione dei corpi. “Nel 2019 finalmente il governo ha assunto l’iniziativa di formare, nel sud della Tunisia, un gruppo di medici legali preparati e autorizzati a prelevare il dna per risalire all’identità delle persone. La stessa iniziativa è stata adottata a Gabès (nel sud-est del paese, ndr) e in altre parti della Tunisia”.

Un primo passo, monco però. “Non c’è ad oggi un impegno sistematico del governo tunisino in questa direzione” afferma Alla Talbi. “Non c’è alcuna collaborazione con le famiglie degli scomparsi. Manca un lavoro di concertazione per sviluppare un archivio di dati utile per dare una risposta ai parenti. Abbiamo chiesto un’inchiesta per capire come gestire le prossime vittime, prevedendo il lavoro di recupero e di identificazione non solo dei migranti subsahariani ma anche tunisini, siriani e di altre nazionalità. Lo sforzo già fatto dal governo tunisino quindi è incompleto e non ancora degno della risposta che vorrebbero le famiglie dei migranti scomparsi”.

In Algeria nulla è stato fatto finora, non c’è alcuna volontà politica di condurre indagini per rintracciare l’identità delle persone migranti morte nei viaggi infraafricani o verso l’Europa. L’avvocato algerino Kouceila Zergouine denuncia esplicitamente una cooperazione tra gli stati per tacere la verità sulle morti. “Cosa impedisce al governo algerino di collaborare con quello italiano per rintracciare l’identità dei migranti tramite l’analisi del dna?” chiede e aggiunge “esiste solo una cooperazione ai fini della sicurezza interna”. Intanto negli ultimi due anni il numero di algerini scomparsi è aumentato esponenzialmente. “Solo in quest’ultimo anno, più di 4200 algerini sono scomparsi sulla rotta verso la Spagna. Le rotte migratorie sono però molteplici e sono centinaia gli algerini scomparsi lungo la rotta balcanica o tra l’Algeria e l’Italia”.

“Quanto ho sentito per questi paesi rispecchia in buona parte quanto succede in Libia, con la differenza che qui è difficile conoscere anche il destino dei vivi a causa degli scontri, della guerra e del caos in corso da oltre 10 anni”. afferma T. B. rappresentante di un’associazione libica per i diritti umani di cui è necessario mantenere l’anonimato. “In Libia in questi 10 anni si sono alternati vari governi, vari ministri e ciascuno porta con sé una parte di responsabilità di ciò che è avvenuto e continua a succedere. La Libia è sempre più territorio di passaggio e sicuramente il dossier degli scomparsi è fra i più dolorosi: si tratta soprattutto di siriani e cittadini dell’Africa subsahariana (somali, sudanesi), persone di cui difficilmente riusciamo ad avere notizie. A riportare a riva i corpi dopo i naufragi quotidiani sono tante parti diverse, tanti attori diversi e questo fa si che sia pressoché impossibile tenere un archivio” denuncia T. B.

Quali, quanti e dove questi corpi sono stati trovati? “Nessuna istituzione publica, nessuna organizzazione della società civile tiene un registro, un archivio. Il cambio costante di governi non aiuta la raccolta dei dati e comunque nessuno di questi governi ha mai avuto come priorità l’impegno di dare un nome alle vittime”.

Nel 2017, racconta T. B. è stata trovata una grande fossa comune con solo l’indicazione di numeri enormi di persone. Le autorità libiche promisero un’inchiesta che non c’è mai stata”.

In Libia i morti non arrivano solo dal mare, molti dal deserto. “Ogni tanto si trovano altre fosse comuni, altri cadaveri. Le autorità promettono inchieste, sempre finite con un nulla di fatto. Tanti i copri portati negli obitori dove avrebbero dovuto organizzare procedure di identificazione e invece finiscono tutti seppelliti con la dicitura ‘sconosciuto’ ”.